In memoria di Erica

Auló Teatro e MetaArte

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il ricordo del gruppo

Il 7 ottobre 2012 Erica Ferazza, una nostra attrice, che è stata nel nostro gruppo per sette anni se n’è andata.
Erica è stata per noi un faro di vitalità e generosità, ha lottato per fare teatro e la sua grinta sprigionava e fioriva durante il training e gli spettacoli.
Chi l’ha vista in scena ricorda la sua presenza scenica, potente e leggera allo stesso tempo.
Sapeva riempire lo spazio, a guidarla in scena era principalmente il suo istinto, un istinto sapientemente misto a tecnica che faceva fiorire le azioni e le riempiva di significato.
In sala traspariva la sua energia, la voglia di non mollare mai, la sua determinazione.

Sapeva tessere reti, pazientemente, aveva il dono di far incontrare le persone e insieme a noi ha costruito le basi per lavorare attraverso il teatro con la disabilità e la diversità.

E’ stata l’anima di Gocce, un festival delle arti e del sociale, dove mondi diversi si sono incontrati e hanno dialogato attraverso l’arte.
Lei ne ha fortemente voluto la realizzazione, ha speso mesi per lavorare e perfezionare l’idea di partenza.

A chi resta rimane il compito di non far disperdere quella goccia.

 

da Wislawa Szymborska

riadattamento di Auló Teatro

Invece del ritorno dei ricordi
al momento di morire
mi prenoto il ritorno
degli oggetti smarriti.

Da finestre, porte – ecco ombrelli,
valigia, guanti, cappotto,
perché io possa dire:
Che me ne faccio?

Spille, quello e quel pettine,
una rosa di carta, uno spago,
perché io possa dire:
Non rimpiango nulla.

Salterà fuori anche il palloncino
portato via dal vento,
perché io possa dire:
Vola via per la finestra aperta,

Vola via nel vasto mondo.

 

Giuseppe Viaro

musicista Auló Teatro

Si dice di morire tante volte per amore… ma quando si muore veramente per amore… l’amore che muore, quell’amore, trasmigra come polvere impalpabile nell’atroce silenzio di chi non l’ha posseduto.
Mi piace pensare che l’ultima persona che abiterà questa terra sarà quella più capace di amare.
E soprattutto, la prima che lo seguirà, sarà una creatura nata da una terra nuova, una terra che per rigenerarsi non ha più alcun bisogno di graffiare, di strappare o regalare nulla.

 

Davide Filippi

attore Auló Teatro

Cara Erica, Perché te ne sei andata.. Era ancora presto.
Era gioia quella che portavi sulla scena, l’abilità con cui giocavi con gli oggetti che ti circondavano, l’emozione che ti prendeva quando entravi in contatto con vecchi ricordi come catini, zoccoli, costumi di inizio Novecento.
In quegli oggetti non c’eri solo tu, ma un gruppo che era cresciuto saldo e forte, insieme. Un gruppo che quando ha deciso di morire, se ne è andato via in blocco, senza lasciare traccia, se non fosse stato per i tuoi ricordi. Tutti quei vestiti e quegli oggetti portavano con loro azioni, canzoni, relazioni. E ogni volta, prepotentemente tu ci mostravi il dolore di rivederli, accompagnato dalla gioia, ci facevi capire l’importanza di riprendere in mano cose, lasciate a lungo a fermentare in una soffitta.
A te non interessava il teatro fatto da soli, non interessava il monologo o lo studio singolo, ne provavi paura.
Da quando sei nata sulla scena hai sempre voluto fare teatro in gruppo.
Il teatro, per te, era collettività. Balance è il teatro, il tuo teatro, un luogo in cui gli attori tengono con i loro movimenti la scena in equilibrio, in cui gli attori sanno perfettamente dove sono i compagni, sanno reagire ad un impulso, in cui la vita sulla scena è a metà fra l’ordine perfetto e la selvaggia follia.
Un gruppo di uomini, prima che attori, che sanno amarsi ed insultarsi reciprocamente, che sanno vedersi e comprendersi, che sanno quando avvicinarsi e quando farsi da parte.
Dovevi avere un’immagine; costruire sul vuoto ti era impossibile, seguire un ritmo era un’impresa forse troppo difficile per te, camminare sui trampoli senza dondolare era chiedere uno sforzo sovrumano; però, se ti si chiedeva di essere un soldato tu azzeccavi il ritmo, se ti si chiedeva di fare la gallina o di camminare come una modella, tu sui trampoli non dondolavi.
Lottavi, Erica, tu lottavi. Tenacemente inseguivi ciò che non ti riusciva fino ad ottenerlo.

E poi, amavi, follemente amavi la tua bambina, Sofia.
Sofia ha passato i primi tre anni della sua vita ad ascoltare musica, a ballare, a vedere teatro, ad assistere agli spettacoli, alle prove, al training.
Da lei avevamo un giudizio immediato e spietatissimo, le bastava ridere o piangere, guardare ammaliata o annoiarsi ed andarsene.
Ultimamente ci spronava a salire sui trampoli più velocemente, giocava con noi e ci insegnava a giocare con il teatro. Faceva le capriole, giocava con il bastone, saltava come una ranocchia e voleva, anzi, esigeva la musica. E pensare che tu sei sempre stata stonata. O quasi sempre.. quando eri in cinta di Sofia, e la tua pancia si era ingrandita, la tua voce si era intonata, un miracolo! Un miracolo.

È accaduto ieri mattina, ancora troppo presto per cancellare immagini orrende che i giornali feticisti non perdono il momento di far risaltare dipingendole di rosso.
Devi aver pensato prima di tutto a lei, a Sofia, a trovare il modo di salvarla.
E se di miracolo si vuole parlare, sappi che almeno lei è viva, Sofia continuerà a ballare.

E noi, Erica, continueremo a fare teatro, riporteremo sulla scena i tuoi oggetti rimasti orfani, riporteremo la tua voce, riporteremo la tua memoria.
Riprenderemo parola, così come vuole il nostro nome, Auló.
Ci rivedremo sempre, specchiati nel ferro o nella pelle dei costumi, in uno spazio che sembrerà più vuoto, sarai un frammento nei nostri corpi.

 

da Costantinos Kavafis

poesia letta da Valentina Parisi, attrice Auló Teatro

Corpo, ricorda non solo quanto sei stato amato
non solo i letti dove hai giaciuto
ma i desideri, anche,
brillanti chiari per te negli occhi
che tremavano nella voce – da un qualche
ostacolo casualmente impediti.
Ora che tutto ormai è nel passato, pare
che in qualche modo a quei desideri
tu avessi ceduto – come brillavano,
ricordalo, negli occhi su te fissi;
e nella voce, come tremavano per te, ricorda, corpo.

 

da Arthur Rimbaud

poesia letta da Davide Filippi, attore Auló Teatro

Pallida! Come neve bella!
In verde età moristi, trascinata da un fiume.
Calati dai rotondi colli, i venti
Ti avevano parlato di un’aspra libertà;

Poi che un soffio, attorcendoti la chioma,
All’animo sognante recava strane voci;
E il tuo cuore ascoltava la natura cantare
Nei sospiri della notte, nel respiro di una bambina;

Poi che il grido dei mari dementi, immenso rantolo,
Frantumava il tuo seno, fanciulla, umano troppo, e dolce;
Poi che un mattino d’ottobre, lui, pallido
Sedette, taciturno e folle, ai tuoi ginocchi!

Cielo! Libertà! Amore! Sogno, povera Folle!
Là ti scioglievi come neve al fuoco:
Le tue grandi visioni ti facevano muta
– E il tremendo Infinito atterrì il tuo sguardo azzurro!

– E il poeta racconta che al raggio delle stelle
Vieni, la notte, a prendere i fiori che cogliesti,
Vieni, la notte, a cullare la bimba che partoristi,
Vieni la notte, e poi scompari, pallida.

Come neve bella.

 

Germogli

poesia letta da Antonio Catalano, attore Auló Teatro

Sfere lucenti lentorotanti
retrogusto metallico
Schiuma
una miriade di bollicine cangianti
che se ne stanno ben strette
e si dan forza l’un l’altra
Ragnatele seriche appese
agli spigoli di un vuoto abissale

Tremori sotterranei
Epiteli che si sfaldano
Gocce
diventano mondi infiniti
mentre cadono, una dopo l’altra
lasciano nell’aria scie
di luminosità nebulosa
Scavano
Senza Sosta
La terra Nera
odorosa di sottobosco,
nella grande Foresta incantata

 

Canzone per Erica

canto composto da Alberto Benettollo, Daccapo, Associazione Trauma Cranico

Ieri sera mi han chiamato, come tutti invitato a un incontro genuino,
per chi è tolto dal cammino
ora scrivo queste righe
che in me sento tanto vive,
raccontando una ragazza serena e piena di forza

Conosciuta ragazzina magra allegra e sbarazzina,
non avevi mai paura, di te questo mi colpiva,
tu sapevi cosa fare quando andando a parlare, nelle scuole tra i ragazzi
che gridavano come pazzi,

Con te la vita è stata ingiusta,
ringraziandoti con la frusta,
di centro non lo meritavi io so bene bene come eri.

Tu credevi agli ideali,
per te tutti erano uguali,
pur se magra e senza forza
del guerriero avevi scorza

Non ti devi preoccupare
ti vogliamo ricordare,
quella grinta che tenevi,
delle frasi calde e lievi.

Mi ritrovo di mattina
e ripenso alla bambina,
che tu sola proteggevi
da quel pazzo che temevi,

l’hai salvata con l’onore
di chi ci ha rimesso il cuore,
per protegger la creatura che impaurita lei chiamava

Poi il pazzo ha ricordato tutto il male che era fatto,
e quando gli han gridato l’ui s’era già impiccato
per difetto o per ritiro l’uomo è ancora vivo,
piantonato è in ospedale che non vuole più parlare.

Io ripenso a quella gente tutta allegra sorridente,
pensa ancora che il destino c’entri molto nel cammino
te lo dico con amore che mi manchi dentro al cuore,
della vita ti han privato ma in me vivo resta il passato, CIAO